
Gli hacker più geniali della storia
Quando si pronuncia la parola “hacker”, l’immaginario collettivo si divide tra due estremi: il criminale informatico con cappuccio nero e il giovane prodigio ribelle che violenta i sistemi delle multinazionali per divertimento. Ma la realtà è molto più sfumata. L’hacker è, nella sua essenza, un costruttore e un decostruttore, una mente curiosa capace di pensare fuori dagli schemi per esplorare i limiti dei sistemi digitali.
Nella storia dell’informatica, ci sono hacker che hanno infranto la legge, altri che l’hanno piegata, e altri ancora che hanno contribuito a plasmarla. Alcuni hanno distrutto, altri hanno costruito. Ma tutti, in un modo o nell’altro, hanno lasciato un’impronta profonda sul mondo tecnologico.
Kevin Mitnick: l’ingegneria sociale come arte
Per molti, Kevin Mitnick è il volto iconico dell’hacking. Negli anni ’80 e ’90, ha dimostrato che il punto più debole di ogni sistema informatico non è il codice, ma l’essere umano. Attraverso tecniche di ingegneria sociale, Mitnick riuscì ad accedere a reti aziendali, numeri di telefono riservati, software proprietari e codici sorgente di colossi come Motorola e Nokia.
Il suo approccio era tanto brillante quanto non convenzionale: non si limitava a sfruttare vulnerabilità tecniche, ma ingannava gli operatori, impersonava dipendenti, si faceva passare per tecnici per ottenere credenziali. Dopo essere stato arrestato e incarcerato per cinque anni, è diventato un esperto di sicurezza informatica, contribuendo a sensibilizzare intere aziende sui rischi del social engineering.
Adrian Lamo: “l’hacker homeless” che si infiltrava per correggere
Adrian Lamo è stato una figura atipica. Senza una fissa dimora, spostandosi da una connessione all’altra tra caffetterie e biblioteche, riuscì a penetrare nei sistemi di multinazionali come Microsoft, Yahoo! e The New York Times. Ma ciò che lo rende unico non è tanto la sua abilità tecnica, quanto il suo codice etico personale.
Lamo, infatti, correggeva le vulnerabilità che trovava e spesso contattava le aziende per avvertirle, cercando un equilibrio tra trasgressione e responsabilità. La sua figura è diventata controversa dopo aver denunciato Chelsea Manning per la fuga di documenti riservati, ma il suo impatto nella cultura hacker rimane emblematico.
Gary McKinnon: tra UFO e vulnerabilità governative
Il britannico Gary McKinnon è diventato famoso per aver effettuato il più grande attacco informatico mai subito dalle reti militari statunitensi. Il suo obiettivo? Cercare prove sull’esistenza degli UFO. Tra il 2001 e il 2002, McKinnon violò decine di computer di NASA, esercito e dipartimenti della difesa americana, sfruttando credenziali deboli e sistemi non protetti.
Il fatto più clamoroso non fu tanto la violazione, quanto l’assurdità delle sue modalità: nessun malware, nessun exploit sofisticato, solo connessioni RDP aperte e password di default. Il caso sollevò uno scandalo internazionale e mise in luce quanto anche le strutture più protette possano essere esposte a falle banali. McKinnon rischiò l’estradizione per anni, ma divenne anche un simbolo della vulnerabilità dei sistemi pubblici.
Julian Assange: il codice come strumento politico
Ben prima di fondare WikiLeaks, Julian Assange era già un hacker noto con lo pseudonimo “Mendax”. Negli anni ’80 e ’90, insieme al collettivo International Subversives, penetrò sistemi di aziende, università e agenzie governative. Il suo stile non era solo tecnico, ma profondamente politico: credeva che l’accesso all’informazione fosse una forma di libertà.
Con WikiLeaks, Assange ha portato alle estreme conseguenze la filosofia hacker, trasformando l’hacking da strumento di esplorazione a strumento di denuncia. Che lo si consideri un eroe della trasparenza o un pericoloso provocatore, è innegabile che abbia ridefinito il rapporto tra informazione, potere e tecnologia.
George Hotz (geohot): l’hacking come performance
Tra gli hacker più brillanti del XXI secolo c’è sicuramente George Hotz, alias “geohot”. A soli 17 anni, fu il primo a sbloccare un iPhone per renderlo utilizzabile con operatori diversi da AT&T. Qualche anno dopo, violò la PlayStation 3 di Sony, scatenando un’epica battaglia legale.
Hotz ha sempre visto l’hacking come un atto di curiosità, libertà intellettuale e sfida tecnica. Il suo talento lo ha portato poi a fondare Comma.ai, un’azienda che sviluppa sistemi di guida autonoma open source, dimostrando come un hacker possa evolvere in imprenditore tech senza rinunciare alla sua indole ribelle.
L’intelligenza fuori dagli schemi
Tutti questi hacker — diversi per epoca, motivazione e metodo — hanno una cosa in comune: pensano in modo diverso. Vedono i sistemi non solo per quello che fanno, ma per quello che potrebbero fare se usati in modo alternativo. Non si accontentano delle interfacce, scavano nei protocolli. Non rispettano i confini imposti dalla documentazione ufficiale, ma li riscrivono a modo loro.
Nel bene o nel male, hanno costretto il mondo a ripensare sicurezza, etica e potere nel digitale. E proprio per questo, meritano un posto non solo nella storia dell’hacking, ma in quella dell’informatica tutta.