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Emoji: storia di un linguaggio

Le usiamo tutti i giorni, a volte senza nemmeno pensarci. Una faccina sorridente, un cuore rosso, un pollice alzato. Le emoji sono diventate parte integrante della nostra comunicazione digitale, sostituendo parole, sfumature emotive e perfino intere frasi. Da semplici simboli visivi, si sono trasformate in un vero e proprio linguaggio universale, capace di superare barriere linguistiche e culturali.

Ma quando sono nate davvero? E chi ha deciso che proprio quelle piccole icone dovessero diventare lo standard globale delle emozioni digitali? Per capirlo, bisogna fare un passo indietro, all’alba dell’era mobile giapponese, e ripercorrere una storia che mescola tecnologia, cultura pop, industria e un pizzico di genialità.

Le origini delle emoji: dal Giappone con amore

Le emoji sono nate nel 1999 in Giappone grazie all’intuizione di Shigetaka Kurita, designer presso l’operatore telefonico NTT DoCoMo. Kurita doveva progettare un set di simboli visivi per il nuovo sistema di messaggistica i-mode, il primo servizio mobile internet per telefoni cellulari.

L’idea era semplice ma rivoluzionaria: creare una serie di icone pixelate che permettessero agli utenti di esprimere emozioni o concetti senza scrivere intere frasi. Il primo set includeva 176 immagini da 12×12 pixel, tra cui il cuore, il sole, l’ombrello, il simbolo del bagno giapponese e alcune faccine. Quelle primitive emoji erano ispirate ai manga, ai segnali stradali e ai pittogrammi tradizionali giapponesi.

Perché usiamo proprio queste emoji?

Le emoji che usiamo oggi derivano da uno standard globalizzato definito dall’Unicode Consortium, l’organizzazione che stabilisce i codici unificati per i caratteri digitali. Quando le emoji hanno cominciato a diffondersi fuori dal Giappone, aziende come Apple e Google hanno iniziato a includerle nei loro sistemi operativi. Ma per farlo, serviva un linguaggio comune: ed è così che l’Unicode ha iniziato a includerle come veri e propri caratteri tipografici.

Oggi ogni emoji ha un nome, un codice universale e una descrizione approvata. Questo garantisce che, indipendentemente dal dispositivo o dalla piattaforma, l’utente possa vedere la stessa emozione o simbolo. Le aziende possono personalizzarne lo stile, ma non il significato.

Emoticon ed emoji: una differenza che conta

Prima delle emoji, c’erano le emoticon, nate già negli anni ’80 tra i corridoi delle università americane. Furono usate per la prima volta da Scott Fahlman nel 1982, con la classica smiley face testuale: 🙂 . Le emoticon non erano grafiche, ma combinazioni di punteggiatura pensate per esprimere tono e umore in un linguaggio informale.

Le emoji sono una loro evoluzione visiva, più intuitiva, diretta e cross-culturale. Mentre le emoticon dipendevano dalla creatività dell’utente, le emoji sono standardizzate e disponibili in ogni tastiera virtuale. È questa codifica universale che ha reso possibile la loro diffusione globale.

Aneddoti curiosi

Alcune emoji sono diventate oggetti di culto, icone pop o strumenti di comunicazione politica. L’emoji della melanzana 🍆, ad esempio, è famosa per l’uso ironico e allusivo che ne è stato fatto, tanto da essere vietata in alcune campagne pubblicitarie. Oppure l’emoji della pistola 🔫, che è stata modificata da Apple nel 2016 in una versione giocattolo per evitare usi violenti o controversi.

Esiste anche una Emoji Subcommittee, un sottogruppo dell’Unicode Consortium che si occupa di valutare ogni anno le proposte per nuove emoji. C’è un processo preciso, che richiede una motivazione culturale o sociale per ogni simbolo richiesto. È così che sono nate le emoji di genere neutro, quelle relative alla disabilità, o i simboli legati a culture specifiche.

Le emoji come linguaggio del futuro?

Oggi le emoji non sono solo decorazione: sono parte della nostra grammatica digitale. Studi di linguistica digitale hanno dimostrato che vengono usate in modo coerente, con funzioni semantiche ben precise: rafforzano un concetto, sostituiscono parole o ne modificano il tono.

“Le emoji sono la nuova punteggiatura dell’era digitale”, affermano alcuni ricercatori. Non è un caso che molte aziende, nel comunicare con i giovani, usino emoji marketing per aumentare la vicinanza e l’empatia. Ma è anche vero che, come ogni linguaggio, le emoji evolvono nel tempo, si adattano ai contesti e riflettono le sensibilità sociali di un’epoca.