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ENIAC come funzionava

Come funzionava davvero il primo computer della storia

Quando si parla del “primo computer della storia”, bisogna subito chiarire i termini. Non si tratta di un semplice calcolatore meccanico, come il Pascaline o l’Analytical Engine di Babbage, ma di una macchina elettronica, programmabile e digitale in grado di eseguire operazioni logiche e aritmetiche complesse in modo autonomo.

Il primo ad avere tutte queste caratteristiche fu l’ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Computer), completato nel 1945 negli Stati Uniti. Sviluppato presso la University of Pennsylvania da John Mauchly e J. Presper Eckert, l’ENIAC non fu solo una meraviglia ingegneristica del suo tempo: fu la nascita ufficiale dell’informatica elettronica moderna.

Architettura e struttura fisica dell’ENIAC

L’ENIAC era un colosso in ogni senso. Pesava oltre 30 tonnellate, occupava circa 170 metri quadrati e richiedeva circa 150 kW di energia elettrica per funzionare. Al suo interno c’erano più di 17.000 valvole termoioniche (tubi a vuoto), che costituivano il cuore della logica binaria della macchina.

Non esistevano transistor o semiconduttori all’epoca: le valvole si accendevano e spegnevano per rappresentare lo 0 e l’1 logico. Questo approccio permetteva all’ENIAC di eseguire operazioni in modo significativamente più veloce rispetto ai dispositivi meccanici, ma con un’affidabilità limitata. Le valvole si bruciavano frequentemente, e la manutenzione era continua.

La memoria dell’ENIAC non era basata su RAM o storage magnetici. Utilizzava anelli di accumulo elettromeccanici e registri ad anello per memorizzare temporaneamente i numeri decimali, convertiti internamente in binario solo nei circuiti logici.

Un sistema decimale in un mondo binario

Una delle peculiarità dell’ENIAC era che, pur essendo una macchina elettronica digitale, funzionava su base decimale, non binaria. Internamente, ogni cifra decimale era rappresentata da una catena di dieci flip-flop, ognuno attivabile singolarmente per rappresentare il numero da 0 a 9.

Questo sistema ibrido era frutto di una transizione tecnologica e culturale: i progettisti, abituati a lavorare con notazioni decimali, cercavano di replicare il modo umano di ragionare. Solo con le generazioni successive di computer si passò completamente al sistema binario, più semplice da gestire elettronicamente.

Programmare l’ENIAC: un’impresa ingegneristica

Dimentichiamoci per un momento di tastiere, monitor e linguaggi ad alto livello. Programmare l’ENIAC significava modificare fisicamente il cablaggio interno della macchina. Ogni algoritmo doveva essere tradotto in connessioni elettriche tra i diversi moduli.

I programmatori, spesso donne come le celebri “ENIAC Girls”, dovevano inserire manualmente cavi nei pannelli, configurare interruttori e impostare rotelle per ogni singola istruzione. Ogni modifica poteva richiedere giorni di lavoro, anche solo per cambiare il tipo di calcolo.

Non esisteva una vera memoria di programma. Ogni istruzione era cablata, e l’esecuzione era sequenziale, anche se l’ENIAC aveva una rudimentale forma di condizionamento (simile a un if statement) tramite logica cablata.

Prestazioni rivoluzionarie per l’epoca

Nonostante tutto, l’ENIAC era una macchina incredibilmente potente per il suo tempo. Poteva eseguire circa 5.000 addizioni o sottrazioni al secondo, circa 357 moltiplicazioni al secondo e 38 divisioni al secondo. Per il 1945, queste erano prestazioni esponenzialmente superiori a qualsiasi altro dispositivo esistente, ed erano cruciali per applicazioni militari come il calcolo delle traiettorie balistiche.

Per fare un confronto: un essere umano esperto avrebbe impiegato diverse ore per calcoli che l’ENIAC svolgeva in pochi secondi. La velocità era tale da ridurre simulazioni di giorni a minuti, segnando l’inizio dell’automazione numerica ad alta scala.

Limiti e lascito tecnologico

L’ENIAC era potente, ma anche rigidissimo. La mancanza di flessibilità nei programmi e la sua fragilità hardware ne limitavano l’uso. Inoltre, l’assenza di memoria centrale e di un linguaggio di programmazione lo rendevano inadatto a compiti più complessi.

Tuttavia, il suo valore non sta tanto nella durata quanto nell’aver aperto la strada all’architettura di von Neumann, ancora oggi alla base dei computer moderni. Proprio da un’evoluzione concettuale dell’ENIAC nacquero i primi computer con programma memorizzato, segnando la transizione definitiva verso l’informatica come la conosciamo.

Non solo un prototipo, ma una rivoluzione

Il primo computer elettronico della storia non era un prototipo da laboratorio: era una macchina operativa, concreta, usata in contesti reali e con risultati tangibili. Se oggi programmiamo in Python o C++, se viviamo in un mondo permeato da software, è anche grazie al gigantesco labirinto di tubi a vuoto che fu l’ENIAC.

Capire come funzionava davvero questa macchina non è solo un esercizio storico, ma un modo per apprezzare la complessità e il coraggio ingegneristico di chi ha costruito l’informatica partendo da zero. Ogni transistor nei nostri dispositivi, in fondo, è un discendente diretto di quelle valvole che, nel 1945, iniziarono a scrivere la prima riga della nostra storia digitale.