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Paradosso di olbers

Perché esiste la notte? Il paradosso di Olbers

Avete mai sentito parlare del paradosso di Olbers? Si tratta di una semplice domanda, un quesito che potremmo porci ogni giorno, ma su cui probabilmente non ci siamo mai soffermati a riflettere.

Com’è possibile che il cielo notturno sia buio nonostante l’infinità di stelle presenti nell’universo?

In altre parole: perché la notte è buia?

Sembra una domanda molto semplice, ma la risposta non è affatto banale.

Una stella rappresenta per noi un puntino luminoso sull’enorme tela rappresentata dal cielo notturno, ma da ciò che sappiamo l’universo è infinito, ciò significa che in esso devono essere presenti infinite stelle e che dovremmo vedere nel cielo infiniti puntini luminosi, fitti al punto da non far esistere la notte come la conosciamo.

La prima obiezione che verrebbe da fare al paradosso di Olbers è legata all’intensità della luce delle stelle lontane: quelle che vediamo sono abbastanza vicine da essere luminose e visibili, quelle lontane invece emaneranno una luce che ci arriva molto fioca, al punto da generare la notte.

Questa obiezione è tuttavia sbagliata: se immaginiamo la Terra, o il nostro punto di osservazione, come il centro di una serie di sfere concentriche, si creerà uno scenario in cui attorno a noi ci saranno strati di stelle con una quantità di luce generata e percepibile costante. Le sfere più vicine saranno anche le più piccole, per cui saranno presenti in esse stelle estremamente luminose, ma in quantità limitata. Le sfere più lontane saranno molto più grandi e in esse troveremo molte più stelle, seppur dalla luce meno intensa. Nel complesso ogni sfera contribuirà per una quantità di luminosità costante alla percezione di ciò che stiamo osservando e dovremo quindi vedere il cielo completamente illuminato.

Scartata questa ipotesi ne sono state fatte altre per spiegare un concetto “semplice” come la notte.

Una di queste è che la luce delle stelle viene intercettata da sostanze presenti nello spazio, come sottilissime polveri, che ostruirebbero l’arrivo della luce ai nostri occhi.

Anche questa ipotesi non sussiste perché i miliardi di anni di vita dell’universo farebbero si che tali polveri siano state talmente irradiate da luce che sarebbero diventate a loro volta luminose.

Spiegare il paradosso di Olbers significa comprendere due fattori che rappresentano le basi e al contempo i misteri della conoscenza umana: l’universo ha un inizio e l’universo è in espansione.

Circa 15 miliardi di anni fa è avvenuto il famoso Big Bang: un’enorme esplosione dalla quale tutto ha avuto inizio. In meno di un secondo si sono formate particelle subatomiche, in particolare elio e idrogeno, che hanno cominciato a generare l’universo per come lo conosciamo (o meglio, per quel poco che ne conosciamo). Per muoversi nell’immensità dell’universo c’è tuttavia un limite cosmico, rappresentato dalla velocità della luce, circa 300.000 chilometri al secondo. Sembra una velocità estremamente elevata, fisicamente inarrivabile, ma in realtà non è granché se paragonata alle distanze che essa deve percorrere. Un anno luce è la distanza che percorre la luce in un anno, si tratta quindi di un’unità di spazio, non di tempo. La luna dista poco meno di 400.000 chilometri dalla terra, la luce la percorre quindi all’incirca in un secondo, il sole è lontano invece circa 8 minuti luce. Ma si tratta di punti di riferimento all’interno della nostra galassia, ossia del nostro “quartiere” di spazio. Se cominciamo a ragionare sulle distanze tra galassie allora cominciamo a parlare di anni luce: distanze enormi, impensabili, al di fuori della più fervida delle immaginazioni.

La luce deve quindi percorrere una spazio, quello che si frappone tra noi che osserviamo e l’oggetto inquadrato. Ecco quindi che se l’oggetto è molto lontano può capitare di vedere il passato, ossia l’oggetto per com’era quando la luce è partita da esso per arrivare ai nostri occhi. Un po’ come quando vediamo dei fuochi d’artificio abbastanza lontani: può capitare che il suono dell’esplosione arrivi dopo che vediamo l’effettiva esplosione del fuoco d’artificio. Questo accade perché il suono viaggia più lentamente (molto più lentamente) della luce, per cui arriva in ritardo. In maniera simile la stessa immagine di una stella molto lontana può arrivarci in ritardo rispetto allo stato reale in quel momento della stella.

Quindi, per rispondere alla domanda del perché esista la notte, dobbiamo tenere in considerazione che semplicemente la luce di stelle lontane miliardi di anni luce non ci è ancora arrivata. Questo è possibile perché l’universo non è finito, ma in espansione. Esso si sta allargando progressivamente e di conseguenza la luce che lo sta attraversando continua ad allungare il suo percorso. È come se stessimo cercando di salire una scala mobile che va in direzione opposta a noi. Ecco quindi che l’esistenza stessa della notte, la percezione del buio, diventano prove del passato, del presente e del futuro del nostro universo: sappiamo che esiste un inizio e accettiamo il concetto di infinito, anche se più ci si pensa e più tutto diventa buio, come la notte.